«Una madre esce dal colloquio con gli insegnanti. Pare che la figlia di otto anni sia irrequieta, incostante, faccia continue battute e si distragga. Lei come decine d’altri nella scuola. Ma per qualche motivo le maestre hanno pensato che proprio per lei potrebbe essere indicato un consulto piscologico. Dicono che potrebbe essere iperattiva, avere ‘quella cosa’ che va molto adesso e che si chiama ADHD. La madre è incerta. Non saranno le maestre ad aver travisato i segnali della bambina? Non sarà solo una moda, questa dei problemi psichici? Non sarà che conducendo la figlia da uno psicologo o da uno psichiatra aumentiamo i problemi della piccola? Una specie di profezia autoavverantesi? Renderla malata ancor prima che lo sia? E poi, anche se fosse, sarà opportuno rivolgersi a uno psicologo o a uno psichiatra? E cosa dovremo aspettarci dall’uno e dall’altro? In cosa consisterà una buona cura?» Il mondo di bambini e adolescenti sembra essere diventato una corsa a ostacoli tra possibili malanni psicologici: disturbi d’ansia, depressione, attacchi di panico e via diagnosticando. Sono i nostri figli a essere diventati più fragili o forse il mondo degli adulti preferisce mettersi a posto la coscienza e nascondersi dietro l’alibi di un’etichetta clinica? Siamo sicuri che i bambini che presentano apparenti anomalie nel comportamento debbano essere necessariamente sottoposti ad accertamenti clinici? Quale è il confine tra un comportamento desiderabile e un comportamento che è a tal punto indesiderabile da dover essere considerato anormale? In che modo la nostra propensione ad attribuire a certi comportamenti un significato clinico ha a che fare con la medicina e non piuttosto con le nostre aspettative di normalità? A partire da esempi semplici di vita quotidiana, con un linguaggio chiaro e adatto al lettore non specialista, il libro risponde a tutte queste domande e prospetta possibili soluzioni, mettendo sempre al centro l’ascolto autentico dell’altro.