“Noi non scriviamo, mi hanno chiesto di tenere un diario per F., però è una problematica mia… Nel diario avrei dovuto scrivere i momenti in cui F. è più aggressivo, scrivere che ha chiamato, ha fatto… mi diventa difficile… Può essere una crisi che dura anche mezz’ora, perché se ti prende ti fa male… Però finita la crisi, passata a lui deve passare a tutti per forza, se no altrimenti non vivi più, perché è una cosa che si ripete frequentemente, perché è una problematica che lui ha sempre avuto. Finito tutto questo… è ovvio che io non vado a scrivere F. ha fatto questo mentre lo fa perché è impossibile. Dovrei farlo la sera e riprendere un’altra volta, tutto questo mi fa male, perché io cerco di rimuoverlo. Allora cerco di non avere uno scritto, perché lo scritto io dovrei tenerlo su questa cosa qua. Allora ho preferito di no”.
La testimonianza di una mamma dice bene quanto sia complicato essere genitori di persone con disabilità. Ma anche quanto sia importante nel rapporto con i servizi riuscire a trovare uno spazio di comprensione reciproca. Questo libro parla di come abitare questa soglia tra luoghi, linguaggi, professionalità di chi lavora nei servizi, e sentimenti, modalità di comunicazione, spazi delle famiglie. E lo fa attraverso una ricerca durata alcuni anni con tantissime famiglie e operatori. Si sono volute mettere in luce diverse rappresentazioni dei servizi e del lavoro che lì si realizza; della disabilità e del modo in cui ci si relaziona con la dimensione temporale; della famiglia e della relazione con il mondo della cura. È un testo che vuole rivolgersi sia a professionisti sia a familiari. I primi interessati ad approfondire un punto di vista sul lavoro sulla soglia dei centri. Gli altri, i familiari, per le rappresentazioni contenute vicine al mondo di chi è genitore o fratello di persone con disabilità e per la possibilità di riconoscersi nelle testimonianze raccolte nel libro.
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